Come la biodiversità indica la convivenza e la differenziazione delle diverse specie in un ecosistema, così la neurodiversitá definisce la fisiologica variazione tra un cervello e l’altro. E la neurodivergenza?

Il neologismo neurodiversità è stato coniato nel 1997 dalla sociologa e attivista Judy Singer. La neurodiversità è un concetto secondo cui le persone hanno un cervello che funziona in modo diverso l’uno dall’altra, in sostanza neurodiversità è sinonimo di biodiversità neurologica: come la biodiversità indica la convivenza e la differenziazione delle diverse specie in un ecosistema, così la neurodiversità definisce la fisiologica variazione tra un cervello e l’altro nella specie umana. Dunque siamo tutti neurodiversi, nonostante apparteniamo alla stessa specie. Nella infinita varietà della neurodiversità umana possiamo notare tuttavia che la maggioranza degli individui percorre uno sviluppo neurologico e ha uno stile adattivo che, al netto delle differenze individuali, può essere considerato tipico. Queste persone sono quindi denominate neurotipiche. Una parte minore della popolazione (che alcuni situano tra il 15 e il 20%) invece condivide uno sviluppo neurologico sotto alcuni aspetti differente o notevolmente divergente dalla maggioranza, descritto da un punto di vista statistico come atipico. Queste persone sono definite neuroatipiche o neurodivergenti. Il termine Neurodivergente è stato coniato dall’attivista Kassiane Asasumasu e  se in origine è stato usato per riferirsi specificamente alle persone affette da autismo, negli anni successivi l’uso del termine si è notevolmente ampliato e oggi include anche individui con: DISLESSIA, ADHD, DDAI, DISPRASSIA, PLUSDOTAZIONE, ALTA SENSIBILITà, etc. Quindi oggi non solo esistono varie forme di neurodivergenza, ma possiamo anche affermare che questa si esprime, all’interno di uno stesso funzionamento, in modi molto diversi e talvolta sovrapponendosi.

Neurodivergenza è un termine che sta and indicare una modalità di funzionamento mentale, ovvero neurologico, che è diverso rispetto a quello della maggior parte delle persone cosiddette neurotipiche. Neurodivergenza è il termine che indica il cervello di una persona che elabora, apprende, si comporta, percepisce, si relaziona e si adatta all’ambiente, in modo notevolmente diverso da quello considerato “tipico”. Un tempo era considerata un problema o un’anomalia, oggi i ricercatori affermano che la neurodivergenza può anche avere molti vantaggi.

Con questo cambiamento di prospettiva, gli operatori non trattano “di default”la neurodivergenza come un disturbo, anche se in molti casi lo può diventare a causa del disadattamento che possono vivere le persone neurodivergenti quando incontrano un ambiente rigido, poco incline all’inclusività, alle diversità o che pretende o impone un modo di comportarsi, pensare, sentire, reagire “neurotipico”.

Quando una persona neurodivergente, fin dalla tenera età, non viene riconosciuta nelle sue peculiarità e nel suo modo squisitamente personale di approcciare all’ambiente fisico e relazionale e quando l’ambiente giudica, reprime o addirittura punisce ogni forma di espressione di sé autentica della persona neurodivergente, questa via via impara che essere autentica non porta a nulla di buono, che “non va bene così com’è” e forse la strategia migliore è “mascherare” le sue differenze, adeguandosi alle “aspettative neurotipiche”.

Le emozioni sperimentate in particolare nei contesti sociali dalle persone neurodivergenti più frequentemente sono colpa e vergogna, come esito di un mancato rispecchiamento nei pari e un mancato adattamento o, al contrario, a causa di un iperadattamento, alla comunicazione e agli ambienti sociali neurotipici. Le conseguenze possono spaziare da un “mascheramento” o “camuffamento” costante (masking o camouflaging), allo sviluppo di un falso sé, alla sensazione dolorosa di una distanza invisibile e incolmabile con gli altri.

Ad oggi sono tantissime le persone neurodivergenti che non sono consapevoli delle loro peculiarità di funzionamento e che pur avendo avuto accesso a servizi privati e pubblici di assistenza psicologica, non sono stati riconosciuti come tali. Questo mancato riconoscimento, anche da parte dei professionisti della salute mentale, spesso è correlato alle stage di masking e camouflaging che le persone neurodivergenti hanno imparato a mettere in atto per adattarsi all’ambiente, disadattandosi sempre più rispetto alla loro natura. Infatti spesso le persone neurodivergenti accedono ai servizi riferendo una sofferenza legata a disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi del comportamento alimentare, DOC e altre manifestazioni psicopatologiche che spesso di presentano in comorbidità e che sovente sono l’esito di un disadattamento all’ambiente fisico e relazionale o come precedentemente rimportato, l’esito di un iperadattamento che le allontana talmente tanto dalla loro autenticità da non riuscire più a riconoscersi e a riconoscere ciò che appartiene loro e ciò che invece è stato loro imposto, più o meno direttamente, dagli altri. Il rischio di comportamenti autolesionisti e suicidari in questi casi aumenta notevolmente.


Ma quando insospettirsi rispetto ad un potenziale funzionamento neurodivergente?

10 segnali che possono essere “spia” di una neurodivergenza:

• interazioni sociali notevolmente difficoltose e faticose e disadattamento sociale o adattamento scarsamente o per nulla autentico e spontaneo

• difficoltà e fatica notevole a comunicare con gli altri in modo soddisfacente (fraintendere messaggi, non comprendere linguaggio verbale simbolico o metaforico, non comprendere ironia, messaggi non verbali, disagio o ansia notevole nei contesti di gruppo)

• rigidità comportamentale (le cose devono andare come dico io, altrimenti vado in ansia, profonda ansia, è un’esperienza viscerale quella di voler che le cose vadano esattamente come le abbiamo pensate)

• attenzione notevolmente ridotta (pochi secondi o pochissimi minuti, o fare più cose contemporaneamente per mantenere l’attenzione)

• ipersensibilità o iposensibilità agli stimoli ambientali fisici o relazionali

• interessi ristretti, rigidi, intensi o interessi che restano tali per poco tempo

• capacità o competenze sopra la media

• difficoltà in attività legate alla lettura, scrittura, movimenti

• modalità di vivere le proprie emozioni: scarsa espressione degli affetti, analfabetizzazione emotiva, “montagne russe emotive”, etc

• Alcune peculiarità sono presenti fin dalla tenera età (seppur poi nel corso del tempo possono cambiare modo di manifestarsi e/o essere camuffate)

Tutte queste esperienze spesso possono generare disagio clinicamente significativo e disadattamento. Ricordate che questi sono solo spunti e che in questo complesso quadro che coinvolge le persone neurodivergenti, assume ancora maggiore importanza un percorso di valutazione psicologica (link alla pagina adulti), un assessment talvolta multidisciplinare e l’ utilizzo di test di primo e secondo livello scelti ad hoc, tutto ciò al fine di accompagnare la persona in una visione flessibile e co-costruita insieme al o ai professionisti, del suo funzionamento nucleare e in questo caso neurodivergente. In quest’ottica è quindi fondamentale includere il punto di vista della persona valutata rispetto ai suoi punti di forza e debolezza, per restituire non una categoria diagnostica e un “verdetto”, ma un significato che vada a integrarsi armonicamente nel profilo della personalità, della sensibilità e dei vissuti della persona al centro del percorso di scoperta di sé e della propria unicità.