Molti studi oggi dimostrano che la figura paterna, quando presente fisicamente ed emotivamente e quando rappresenta per i figli una base sicura, avrebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’identità degli stessi e nella capacità di stabilire relazioni stabili e soddisfacenti anche in età adulta.
La letteratura psicologica del secolo scorso ha posto l’enfasi quasi esclusivamente sull’importanza della relazione madre- bambino, spesso trascurando il sistema triadico madre-padre-bambino e la relazione padre-figli.
Fortunatamente negli ultimi decenni questa tendenza è stata ampiamente modificata a favore del sempre maggiore riconoscimento, nella letteratura scientifica, dell’importanza della figura paterna e dunque l’influenza che quest’ultima ha, in relazione allo sviluppo psicologico dei figli e con psicologico si intende: cognitivo, emotivo, relazionale, adattivo e identitario.
Ad oggi molte ricerche dimostrano che la figura paterna ha un’importanza fondamentale in relazione alle traiettorie dello sviluppo psicologico dei figli, e che la figura del padre sin dal concepimento, influenza il clima familiare e può incidere sul benessere psicologico della madre e del nascituro. I risultati di alcune ricerche suggeriscono che il coinvolgimento attivo e funzionale del padre nell’accudimento dei figli e nella condivisione con la madre della gestione dell’ambiente familiare, fin dal concepimento, fa sì che oltre alle capacità cognitive si sviluppino in loro quelle di empatia e di autocontrollo e diminuiscano sia il rischio di sviluppare problemi psicologici sia lo sviluppo di stereotipi legati al genere.
A tal proposito, la visione del padre che veste il ruolo di chi si limita a provvedere ai bisogni della famiglia intera, più che altro in termini economici e pratici e a proteggere il proprio nucleo familiare, si può sostenere essere oggi molto limitata e limitante e in buona parte superata. Tale visione tuttavia ha per moltissimo tempo contribuito a diffondere un modello familiare basato su ruoli genitoriali distinti e complementari: la madre, “figura d’attaccamento e amore per eccellenza” ( anche se spesso di fatto non era proprio così) e il padre, simbolo della legge e dell’autorità, incline per lo più ad atteggiamenti basati sulla freddezza e l’indipendenza a scapito di comportamenti propensi all’affetto e alla manifestazione dei propri sentimenti.
Questo modello oggi trova poco riscontro nelle famiglie moderne, ove i padri, fortunatamente, ricoprono un ruolo sempre più attivo e paritario nell’accudimento, nell’educazione e nella gestione delle responsabilità familiari, dentro e fuori le quattro mura di casa.
Purtroppo va detto che ancora oggi, nonostante questo, gli stereotipi di genere, i pregiudizi, e alcuni retaggi culturali trovano in alcune famiglie e in una fetta della nostra società, ambiente giuridico compreso, terreno fertile per crescere e ostacolare una realtà che andrebbe invece improntata su pari diritti, doveri e responsabilità genitoriali, senza distinzione di ruoli. Brevissima parentesi concernente l’ambito giuridico, ambito nel quale gli stereotipi e le differenze di ruolo per ciò che concerne la genitorialità si trasformano spesso in atteggiamenti di ostilità verso le figure paterne, un esempio? Le decisioni a senso quasi unico in tema di residenza abituale e assegnazione casa familiare (artt. 316 e 337 sexies c.c.) e di assegno di mantenimento dei figli (337 quater c.c.) che hanno dato vita al c.d. “falso condiviso”: basti pensare che nel 59,7% delle separazioni l’immobile coniugale viene assegnato alla madre ed in particolare al Sud, dove la percentuale è ben più alta (64,9%). E nel 94,1%, l’assegno di mantenimento a seguito di separazione viene versato proprio dai padri. Ecco alcuni dei risvolti concreti in chiave “macro” di una società che ancora attribuisce alla madre il ruolo di “genitore in prima linea” nell’accudimento e nella gestione della vita domestica. Il punto invece è il seguente, per citare le parole della Psicologa Dionna Thompson:
“[…] non è semplicemente il diritto dei padri o il diritto delle madri, ma il diritto dei figli di avere due genitori che si occupino attivamente della loro vita”.
Molti studi oggi dimostrano che la figura patera, quando presente fisicamente ed emotivamente e quando rappresenta per i figli una base sicura, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’identità degli stessi e nella capacità di stabilire relazioni stabili e soddisfacenti anche in età adulta, rappresentando dunque un importante fattore protettivo sulla salute psicologica dei figli.
Entriamo a tal proposito, nel vivo di alcune ricerche che sostengono quanto appena riportato: Ronald Rohner e Abdul Khaleque hanno analizzato 36 studi differenti per un totale di 10’000 soggetti da tutto il mondo. L’analisi di questi due studiosi si è concentrata sulla correlazione tra l’esperienza del rifiuto nei confronti dei figli, da parte di uno dei due genitori, con particolare focus sulla figura paterna, e lo sviluppo di problematiche di natura psicologica. Questi ricercatori sono arrivati alla conclusione che il rifiuto paterno in età evolutiva è correlato allo sviluppo di ansia, insicurezza, ostilità e aggressività e in età adulta di problematiche riguardanti la capacità di instaurare legami e relazioni di fiducia con gli altri e in particolar modo con il partner nelle relazioni intime.
Nello specifico e in relazione a quanto appena riportato, altre ricerche hanno evidenziato come la funzione paterna possa avere un impatto diverso nel rapporto con le figlie rispetto al rapporto con i figli: l’assenza della figura paterna potrebbe causare una ferita relazionale profonda in una figlia, con conseguenti difficoltà in particolare nelle relazioni significative e intime, ed una ferita d’identità in un figlio. In generale, come dimostrato dalle ricerche, il padre, in entrambi i casi, contribuirebbe a creare stabilità, affettività e sicurezza nel sistema familiare, pertanto la sua assenza, a livello psicologico, può produrre nella personalità dei figli lacune rispetto al proprio sentimento di appartenenza e un vuoto nei processi di identificazione, necessari per maturare.
Un’altra recente ricerca dell’Università di Oxford ha preso in esame famiglie che vivono nel sud-ovest dell’Inghilterra. Ai genitori di 10.440 bambini è stato chiesto di compilare il Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ) per capire se i figli fossero equilibrati. I bambini sono stati esaminati dai primi mesi di vita e a 6.328 di loro sono state fatte interviste fino agli 11 anni di età. Ciò che è emerso da questa ricerca longitudinale è che i padri che si sentivano sicuri nel rapporto coi figli e realizzati nel ruolo genitoriale avevano figli più equilibrati. Questi ragazzi hanno il 28% in meno di probabilità di avere problemi comportamentali nella pre-adolescenza.
Inoltre il padre potrebbe avere una ‘funzione protettiva’ rispetto ad un eventuale stile caregiving da parte della madre disfunzionale o carente.

Oggi molti ricercatori concordano sul fatto che i bambini, le cui figure parentali sono entrambe presenti e coinvolte nell’accudimento e offrono differenti stimoli ed opportunità, è probabile che imparino ad interagire in modo più adeguato con persone che possiedono diversi stili comportamentali e che imparino a sviluppare meglio le loro capacità relazionali.
Dunque sottolineata l’importanza di un pari coinvolgimento attivo nell’accudimento e nella gestione della vita familiaretra padre e madre, in definitiva, quale sarebbe il ruolo del padre secondo la psicologia psicodinamica, se proprio vogliamo definirlo, nella triade madre-padre-figli?
Secondo alcune teorie, di matrice psicodinamica, al padre sarebbe simbolicamente affidato il compito di favorire gradualmente la separazione-individuazione del figlio dalla figura materna in favore di un graduale inserimento nella società in senso lato e i senso stretto, favorendo l’emancipazione dall’infanzia e il suo progressivo ingresso nel mondo adulto. In altre parole, il padre avrebbe un ruolo importante nel contenere e progressivamente delimitare quel rapporto stretto e talvolta totalizzante tra madre e figli e permettere a questi ultimi di differenziarsi dalle figure di riferimento e appunto individuarsi.
Viceversa, nei casi in cui la figura paterna non possa, per varie ragioni, svolgere il proprio ruolo, l’ esclusione del padre condurrebbe, secondo le teorie di cui sopra, all’organizzazione di un oggetto-madre “eccessivamente potente e presente”, che potrebbe concorrere allo sviluppo di profondi sentimenti di incapacità, paura, frustrazione e soprattutto angosce abbandoniche nei figli, ostacolando la rappresentazione di un se separato e individuato dal punto di vista identitario e una realizzazione dal punto di vista relazionale, possibile solo attraverso un processo di separazione dalle figure di riferimento sano e funzionale alla maturazione del se e all’indipendenza reale.
Insomma, caro papà, il tuo modo di mettere in gioco la paternità nella relazione con i tuoi figli e nel sistema familiare, è molto più impattante di ciò che credi sulla salute psicofisica dei tuoi cari, sopratutto dei “tuoi cuccioli”.